Scenario globale e previsioni per il secondo trimestre 2025


In questo particolare contesto macroeconomico è molto difficile produrre una valutazione di medio periodo, come vuole essere questa, senza la consapevolezza che l’analisi dovrebbe essere aggiornata con nuove informazioni a cadenza giornaliera. In ogni caso cerchiamo di fornire un minimo di chiarezza presentando non solo gli accadimenti più recenti, ma dando anche una valutazione a più ampio respiro della situazione economica statunitense e globale.
L’insediamento ufficiale di Donald Trump alla Casa Bianca nel gennaio 2025 ha sconvolto profondamente lo scenario geopolitico e macroeconomico, disallineando molte delle aspettative che avevano guidato mercati, imprese e analisti nei mesi precedenti. Con il nuovo corso politico, si è aperta una fase di marcato cambiamento sia nella politica estera sia nella strategia economica degli Stati Uniti.
Dal punto di vista geopolitico, si registra un raffreddamento dei rapporti con diversi alleati europei. Il ruolo degli Stati Uniti nella NATO viene messo in discussione attraverso dichiarazioni ambigue e richieste di maggiori oneri finanziari da parte degli alleati, alimentando tensioni e incertezze sul fronte della sicurezza occidentale. Parallelamente, l’amministrazione ha intensificato la pressione per una risoluzione del conflitto in Ucraina, privilegiando un approccio negoziale volto a ridurre l’impegno militare e finanziario americano nella regione.
In ambito economico, è già in atto un ritorno al protezionismo, segnato dall’avvio di una nuova fase della guerra commerciale. Le prime misure tariffarie, annunciate contro una serie di prodotti provenienti da Cina, Messico ed Europa, sono servite da preludio a un intervento ben più ampio. Tali dazi, inizialmente utilizzati come leva negoziale, hanno anticipato una strategia più aggressiva e strutturata che ha portato a una vera e propria revisione del ruolo statunitense all’interno del sistema commerciale globale.
A conferma di questa rinnovata impostazione protezionista, lo scenario tariffario per il secondo trimestre risulta fortemente influenzato dall’approccio assertivo dell’amministrazione Trump. Dopo aver rilanciato la dottrina del “fair and reciprocal trade”, l’anno si è aperto con l’introduzione di dazi del 25% su Canada e Messico (attivi dal 4 marzo), parzialmente mitigati dall’esenzione per le merci certificate USMCA. Secondo calcoli di Barclays, il 56% delle importazioni da questi paesi è attualmente soggetto a dazi, con un’incidenza tariffaria media del 14%.
Il 2 aprile ha infine rappresentato un forte inasprimento della politica commerciale americana, con l’implementazione di una nuova tornata di tariffe "reciproche" verso i principali partner commerciali. Si tratta di uno degli interventi più ampi e sistemici adottati da un’amministrazione statunitense negli ultimi decenni in ambito tariffario. Tra le misure introdotte, seppure rimandate di 90 giorni, spiccano dazi del 145% sulla Cina e del 20% sull’Unione Europea, con l’applicazione di un livello minimo del 10% anche ai partner minori, coinvolgendo di fatto la totalità dei principali partner commerciali a livello globale, con la sola esclusione di Messico e Canada, coperti dal USMCA. Le nuove tariffe includono anche forme di compensazione per barriere non tariffarie, come IVA, sussidi, digital tax e vincoli regolamentari, considerate dall’amministrazione come pratiche discriminatorie, anche se il loro calcolo sembra basarsi su valutazione meno solide. L’entità e l’ampiezza di queste misure rappresentano un salto di qualità nel confronto commerciale internazionale: esse non si limitano a modificare gli equilibri settoriali, ma mettono in discussione il ruolo sistemico degli Stati Uniti come principale garante dell’apertura commerciale globale. In questo senso, le nuove tariffe minano alla radice la posizione degli Stati Uniti come architrave del sistema multilaterale di scambi, alimentando la frammentazione e incentivando la regionalizzazione delle catene del valore. Uno studio di Goldman Sachs stima che, tenendo conto delle esenzioni e delle deroghe in vigore, l’incidenza media effettiva delle tariffe si attesti intorno al 18.8%, un valore comunque molto superiore rispetto al 2,5% calcolato per il 2024. Questo cambiamento radicale rischia di modificare in profondità la struttura del commercio globale e richiederà particolare attenzione anche alla modalità e all’intensità della risposta dei partner commerciali, che iniziano già a reagire con misure ritorsive altrettanto significative.
Se non ci sono passi indietro, che sono attesi ma che aumenterebbero comunque l’incertezza, questa data verrà ricordata come l’inizio di una guerra commerciale con impatti estremamente negativi.
Infatti alcune delle tariffe introdotte a inizio anno sono già state sospese o modificate, nel contesto di trattative più ampie. È plausibile che sviluppi analoghi si verifichino ancora. Tuttavia, questa continua evoluzione alimenta un clima di forte incertezza, aggravato dai rischi concreti di ritorsioni, pressioni inflazionistiche e potenziali ricadute negative sulla crescita globale. La mancanza di chiarezza su quali settori saranno colpiti e con quale intensità, unita alla possibilità che le misure vengano introdotte e poi rapidamente rinegoziate o sospese, contribuisce a peggiorare il sentimento degli attori economici. Questo freno alla visibilità strategica rallenta i piani di investimento e produzione, soprattutto nei comparti industriali più esposti all’interscambio globale. In questo contesto, si era inizialmente ipotizzato che l’amministrazione potesse moderare la propria linea in caso di forte correzione dei mercati — la cosiddetta "Trump put" — ma recenti dichiarazioni ufficiali hanno smentito questa possibilità, ribadendo l’intenzione di proseguire con la strategia annunciata, anche a costo di accrescere temporaneamente la volatilità finanziaria. L’eventuale intervento della FED potrebbe calmare gli animi ma difficilmente risolverà il problema strutturale creato. Tuttavia gli eventi degli ultimi giorni mostrano come l’andamento dei tassi (e quindi dei Treasury) sia un elemento che l’amministrazione non può e non vuole trascrurare, dato l’impatto degli interessi sul debito.
Sul piano interno, l’amministrazione ha avviato un processo di ridimensionamento della macchina federale, con tagli mirati alla spesa pubblica nei settori considerati non prioritari. Sebbene questa misura possa sostenere l’obiettivo di contenere il disavanzo, è probabile che nel breve termine generi effetti negativi sul mercato del lavoro, aumentando il rischio di una frenata dell’occupazione e della domanda interna.
Infine, la strategia fiscale dell’amministrazione prevede un taglio significativo delle imposte, con l’obiettivo di stimolare la crescita economica e incentivare gli investimenti privati. Tuttavia, questa scelta appare in contraddizione con l’obiettivo dichiarato di ridurre il deficit pubblico, soprattutto in assenza di misure credibili di contenimento della spesa. Parte del piano dell’amministrazione prevede di coprire il buco di bilancio attraverso le entrate generate dalle tariffe commerciali. Ciononostante, qualsiasi intervento fiscale richiederà il via libera del Congresso, dove il confronto politico si preannuncia più acceso rispetto alla fase iniziale dell’insediamento. Resta da vedere se la crescita potrà compensare la perdita di entrate fiscali, o se al contrario si assisterà a un ampliamento del disavanzo in un contesto globale già fragile e frammentato.
Nonostante la resilienza dimostrata dal ciclo economico americano negli ultimi trimestri, è importante ricordare che l’economia era già entrata in una fase di rallentamento strutturale. Molti dei segnali positivi osservati nel 2024 erano sostenuti da fattori transitori legati all’elevata spesa pubblica e a misure di stimolo che ora rischiano di essere ridimensionate. In questo contesto, resta cruciale il ruolo degli investimenti legati all’intelligenza artificiale, che continuano a rappresentare un motore di crescita settoriale e di innovazione. Tuttavia, anche questo comparto sembra aver superato la fase di espansione esplosiva iniziale, aprendo una fase più matura e selettiva dello sviluppo.
In uno scenario già caratterizzato da segnali di rallentamento economico, la forte sferzata protezionistica promossa dall’amministrazione Trump, pur potendo offrire un temporaneo miglioramento del bilancio federale attraverso l’aumento delle entrate tariffarie, non solo sta accelerando la disgregazione del sistema di libero scambio su cui si fonda l’economia globale ma rischia di peggiorare le aspettative economiche americane. L’approccio unilaterale adottato dagli Stati Uniti rischia di isolare progressivamente il paese, innescando una serie di contro-reazioni che potrebbero compromettere il commercio internazionale, aumentare la volatilità dei mercati e ridurre le prospettive di crescita a livello mondiale.